- La pagina Fb di Arssup, ferma al 2016. Facebook
Sette facoltà, 57 professori e 180 studenti, quasi tutti italiani, che si sono iscritti in pochissime settimane. Nel settembre del 2013 Ipus (Istituto privato universitario svizzero) apriva i battenti a Chiasso accompagnato dai grandi proclami del direttore generale, l’italiano Vincenzo Amore:
“Da noi ci sono tantissimi ragazzi che seguono Scienze infermieristiche e Fisioterapia, perché in Italia c’è il numero chiuso e qui no. Al termine del percorso formativo, potranno conseguire la laurea negli atenei a noi associati”.
E cioè, da quanto si leggeva su sito e brochure, all’Universitatea din Pitești (Romania), all’Univêrza v Máriboru (Slovenia) e in una scuola privata austriaca, l’Alma Mater. Procedimento, questo, necessario per poter esibire un titolo di studio valido nell’Unione europea e poter svolgere la professione.
- Il logo di Ipus
Peccato che, da un giorno all’altro, senza alcun preavviso, le lezioni siano state sospese.
“Non capivamo cosa stesse succedendo – ci racconta al telefono, da Madrid, un ex studente veronese di 26 anni di Ipus, Andrea L. – sembrava che il corso fosse stato bloccato, allo stesso tempo il rettore Giampiero Camurati cambiò scuola e passò all’Arssup (Associazione di ricerche scientifiche e studi universitari privati, ndr) e molti di noi lo seguirono. Fino a quel momento avevo frequentato più di un anno, mi mancavano tre esami e la tesi e non volevo perdere tutto quello che avevo fatto sin lì, soldi inclusi”.
L’Ipus venne chiuso e il primo settembre del 2016 ne venne decretato il fallimento: il rettore e 14 dipendenti non ricevevano gli stipendi da mesi, per un importo di circa 100mila franchi svizzeri, a cui si sommavano altri debiti da 260mila franchi. Ma dietro c’era altro, come ci ha spiegato Ivan Paparelli, avvocato di Lugano:
“L’istituto si fregiava del titolo di ‘università’ quando non lo era, e vantava convenzioni con scuole riconosciute dall’Unione europea e che potevano rilasciare le lauree. Ma non c’era nulla di vero”.
- Open day di Ipus. Facebook
La storia, però, non è finita con la chiusura della struttura, perché Amore ne ha aperta un’altra, a Disentis, nel Cantone dei Grigioni.
Gli studenti di Ipus si sono trovati a dover fare i conti col rischio di vedere azzerati i due anni di studio, costati la bellezza di circa 16mila euro. Così molti di loro si sono iscritti, lo scorso anno, a Unipolisi, nella cittadina a 260 chilometri da Milano.
“È stato proposto loro il trasferimento – continua Paparelli – erano con le spalle al muro perché volevano salvare quanto fatto fin lì. Ma poi si sono accorti che la truffa continuava. Finché, a dicembre, la procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti ha posto i sigilli alla scuola”.
Ora l’avvocato sta seguendo il caso di 40 ragazzi truffati da Ipus, quasi tutti italiani provenienti dalla Lombardia e dal Sud Italia, a cui si sono aggiunti altri 30 ex studenti di Unipolisi.
“Il direttore è stato arrestato insieme alla moglie ed è coinvolto nell’inchiesta anche il figlio”. I reati contestati sono appropriazione indebita, truffa e amministrazione infedele aggravata e per Amore è già arrivata una prima condanna, e cioè una multa da 10mila franchi svizzeri per aver affibbiato il termine “universitario” al suo istituto.
Per Andrea L., però, pur non essendosi inscritto a Unipolisi, non è andata tanto meglio.
“Arssup ha organizzato sei mesi di lezioni a Cantalupa, in provincia di Torino, fino a ottobre. Poi, senza che ci informassero di nulla, le lezioni sono state interrotte”.
La scuola vantava un apparentamento con l’Università di Malta, così ai ragazzi è stato detto che i corsi sarebbero proseguiti sull’isola del Mediterraneo.
“La verità è che l’immatricolazione da Malta non è mai arrivata. Io mi sono stufato e me ne sono andato, perdendo 4mila euro. Ora frequento fisioterapia a Madrid. Alcuni miei ex compagni hanno chiesto i soldi indietro, ma nessuno ha dato loro una risposta”.
La storia di Andrea, passato da Ipus ad Arssup, è uguale a quella di tanti altri studenti truffati.
“È così. Qui in Spagna non mi hanno riconosciuto gli esami sostenuti in Svizzera e di fatto ho perso un anno, oltre a parecchio denaro. La cosa incredibile è che anche i professori sono caduti nella trappola. Erano bravi e preparati e non c’era nulla che ci indicasse che quella fosse una truffa”.
Che qualcosa non andasse, però, lo aveva capito il sindaco di Cantalupa, Faustino Bello:
“I dirigenti di Arssup mi sembravano poco seri. Erano carenti sia sul piano organizzativo sia su quello promozionale. Abbiamo messo a disposizione il nostro centro congressi ma ci devono ancora pagare. Sono spariti. Con noi hanno chiuso”.
In Ticino ci sono stati i casi di altre “scuole”, come l’Issea (Istituto superiore di studi di economia aziendale), che ha perso il titolo di “università” e i cui vertici intendono rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, e l’EurAka di Lugano. A Milano, l’ultimo caso è stato quello del centro studi “Queen”. Come riportato dal Corriere della Sera, 31 ragazzi lasciati a casa dall’oggi al domani, senza spiegazioni, dopo aver pagato una retta di circa 10mila euro. Tutte vittime, inconsapevoli, dell’avidità di chi gioca coi sogni dei giovani.